martedì 28 gennaio 2014

Inaugurazione anno giudiziario Corte di Appello di Bari

Pur essendo stati inseriti nell'elenco degli interventi, la durata di quelli precedenti non ci ha consentito di dare il nostro contributo che pubblichiamo di seguito.

Ci siamo quindi limitati a fare un Sit-in "striminzito" a causa della pioggia e del freddo.





Quest’anno, più che in passato, come Radicali del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito e come Radicali Italiani abbiamo deciso di essere presenti, chiedendo di intervenire, nel maggior numero possibile di Corti di Appello in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, leggendo lo stesso testo in ogni corte d’Appello, con lo spirito di dialogo e confronto con le istituzioni che hanno la responsabilità di occuparsi della giustizia.

La straordinaria, oramai perenne, emergenza in cui versa la giustizia in Italia ce lo impone, con senso di responsabilità, poiché nessuno sforzo può oramai essere risparmiato per tentare di porre un freno a quella che possiamo definire la più grande fabbrica di violazione dei diritti umani fondamentali oggi esistente in Italia: la giustizia.

I numeri mostruosi dei processi arretrati, civili e penali – se solo tra i penali si ricomprendesse, come il Ministero non fa, anche la fase delle indagini preliminari – che si concludono ben oltre la durata ragionevole fissata dall’art. 6 della CEDU fotografa decine di milioni di cittadini ai quali non si rende il servizio giustizia, se è vero com’è vero che una giustizia ritardata è una vera e propria giustizia negata.
Allo stesso modo, com’è noto a tutti, almeno dopo la sentenza Torreggiani che abbiamo ottenuto anche grazie al lavoro del Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei, occorre interrompere la vera e propria flagranza in corso, anche oggi che siam qui ad inaugurare l’anno giudiziario, e che vede oltre 62mila persone private del diritto umano fondamentale della dignità della persona. 62mila non persone, 62mila zombie, 62mila torturati abitano le nostre prigioni.

Non è, per noi Radicali, un problema economico cui lo Stato dovrà far fronte da qui a breve se non verrà interrotta questa flagrante violazione dei diritti umani fondamentali, non è un problema di bilanci e risarcimenti, è un problema di diritto e di legalità, cioè di civile convivenza, che voi, anche voi, proprio e soprattutto voi, dovreste ogni giorno preoccuparvi di far rispettare e che ogni giorno invece viene palesemente violata.

E’ triste, tristissimo, per un Partito come il PRNTT, nato in Italia ma che opera nel mondo lottando con la nonviolenza per salvaguardare i diritti umani fondamentali degli ultimi della terra, in paesi dove il valore delle persone e della vita umana è spesso pari a zero, dover constatare come oramai anche l’Italia, la nostra Italia, sia ridotta ad essere considerata a livello internazionale persino peggiore di molti di questi Paesi.

Non uno Stato di diritto, ma uno Stato senza Diritto perché senza diritto e senza legalità è un Paese nel quale è consentito, ogni giorno, di calpestare la dignità umana, di cancellare lo status di persona per decine di migliaia di reclusi.

Ce lo ha ricordato più volte anche il Presidente della Repubblica che nel corso del suo secondo mandato ha, per la prima volta, utilizzato lo strumento costituzionalmente previsto del messaggio alle Camere per richiamare il corpo legislativo ai propri doveri anche evocando, se non invocando, come auspicato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 279 del 2013, gli unici strumenti eccezionali capaci di determinare un immediato rientro nella legalità, l’amnistia e l’indulto, quali pre condizioni per poi poter procedere ad una non più rinviabile profonda riforma del sistema giustizia.

Ma se ci sono le accecanti responsabilità della politica, se ci sono le accecanti responsabilità di una informazione asservita ai partiti che, cavalcando il feticcio della sicurezza e censurando qualsiasi ampio dibattito pubblico sul tema, impedisce ai cittadini di conoscere e di sapere che è questo sistema anzitutto a produrre insicurezza, ci sono anche, ed è questo il luogo dove ribadirlo, le responsabilità della giurisdizione.

Non ci riferiamo solo all’abuso conclamato della custodia cautelare in carcere, ma anche e soprattutto, al fatto che ogni giorno si continuano ad eseguire pene illegali, tecnicamente illegali, pene altre e diverse dalla reclusione, dalla privazione della libertà personale.

L’art. 3 della CEDU, l’art. 27 della Costituzione, il Codice penale, l’ordinamento penitenziario, il regolamento di attuazione dell’ordinamento penitenziario, impongono un modello di pena assolutamente altro e diverso da quelle che quotidianamente vengono eseguite.

Anche a prescindere, e non ne prescindiamo, dalle 675 diffide inviate dal PRNTT e dal Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei ad altrettanti destinatari individuati tra tutti coloro che hanno responsabilità sul punto, è chiaro che quando oggi viene emesso un ordine di esecuzione della pena v’è quantomeno l’elevata probabilità con la conseguente accettazione del rischio, se non la sicura certezza, che quella pena che si ordina di eseguire sarà eseguita in condizioni inumane e degradanti, sarà privazione della dignità dell’essere umano, sarà altro dalla pena della reclusione, sarà illegale.

Di fronte a questo stato di cose, la giurisdizione non può continuare a far finta di nulla tentando di supplire alle colpevoli inerzie della politica in nome di una ragion di Stato che diventa la ragione di uno Stato senza diritto e senza legalità. 

Noi affermiamo, come ha già fatto la Corte Costituzionale tedesca, che la potestà punitiva dello Stato deve arrestarsi allorquando v’è la consapevolezza che quella potestà punitiva si trasforma in altro e diventa strutturalmente violazione della dignità dell’essere umano. V’è un dovere di arrestare, in fatto, la potestà punitiva dello Stato imposto da altre norme giuridiche inderogabili ed incomprimibili e che tutelano il diritto di ogni essere umano ad essere trattato da essere umano, un dovere rilevante anche ai sensi dell’art. 51 c.p. che impedirebbe di perseguire l’omessa emissione di un ordine di esecuzione di una pena detentiva.

Calpestare la dignità dell’uomo per motivi etnici, razziali, religiosi, di orientamento sessuale non è diverso dal calpestare la dignità dell’uomo per motivi di ‘opportunità’, perché non sappiamo come fare o perché non possiamo permetterci di bloccare il sistema, ben sapendo che così facendo alimentiamo, giorno dopo giorno, un sistema che non merita in alcun modo di essere tutelato perché è un sistema che si regge sulla conclamata illegalità, è un sistema appunto, da Stato senza diritto.

Ecco allora perché oggi, riportandoci a quell’atto di significazione e diffida, invochiamo, come ieri abbiamo fatto all’ONU con la pena di morte, in attesa della non più rinviabile assunzione di responsabilità da parte del Parlamento, una moratoria di fatto nell’esecuzione di pene che sappiamo saranno eseguite mediante trattamenti inumani e degradanti, una moratoria per l’esecuzione di pene che oggi sappiamo essere illegali.

Lo facciamo oggi, contestualmente, da ogni palco di ogni Corte d’Appello della Repubblica italiana, in nome del diritto e della legge, quella legge che deve essere uguale per tutti, per ogni essere umano, lo facciamo oggi celebrando l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2014 con l’auspicio che sia l’anno in cui il diritto e la legalità tornino a vivere in questo nostro Paese.


Grazie

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